cristao_rolandoRolando Cristao*

Riflessioni sulla teoria dell’Agape e sue implicazioni nel Servizio Sociale

Punto di partenza del nostro contributo è quanto è emerso in un seminario di studi svoltosi a Castelgandolfo (Roma) nel giugno 2008, organizzato dalla Comunità scientifica Internazionale Social-One, dal titolo “Agire agapico e scienze sociali”.
Social-One è un gruppo internazionale di sociologi e teorici del servizio sociale che vuole portare avanti un'esperienza di studio e di confronto scientifico, attraverso una dinamica dialogica di ascolto e di reciproca apertura.
Si prefigge di ricavare spunti di riflessione, di ricerca e chiavi di lettura e interpretazione della realtà sociale in modo da elaborare concetti e modelli innovativi che possano orientare le dinamiche sociali verso la realizzazione di un mondo più unito, con il presupposto di fondo del raggiungimento della fraternità universale.
Pertanto nel citato seminario si è cercato di introdurre una riflessione sull’agire agapico al fine di interrogarsi, suscitare ulteriori ricerche e fondare l’attività di una comunità scientifica sull’argomento. Quello che proponiamo in questa nota, è solo l’inizio di un work in progress, che cerca di offrire elementi per una definizione del concetto dal punto di vista teorico e individuarne almeno alcune delle sue dimensioni caratterizzanti. 
L’autore che ha suscitato la riflessione del seminario, unitamente ad altri che hanno esplorato concetti come agape, amore, dono, ecc. è l’opera di Boltanski, noto sociologo francese, allievo di Bordieu, anche se poi ha assunto una sua autonomia e distinzione scientifica.
Egli coglie e definisce i diversi ‘regimi d’azione’ che suddivide in regime di ‘disputa’ e regime di ‘pace’.
Boltanski evidenzia come esistano differenti contesti d’azione, ciascuno dei quali ha elaborato delle proprie procedure di giustificazione, quindi proprie regole e competenze mediante le quali viene costruito il senso di un’azione e la sua stessa identificazione, da parte dell’agente e dell’agito. Questo elemento teorico ci permette di costruire un approccio ‘laico’ al tema dell’agape, vedendolo come un tipo possibile dell’interazione sociale, che da un lato non esaurisce la ricchezza delle azioni praticabili e dei tipi sociali, ma dall’altro, non è esclusa a priori come un’agire ideologicamente orientato e impraticabile. Dunque, dal punto di vista logico-teorico l’Agape è un agire che sta con dignità accanto ad altre possibilità d’azione (strumentale, espressivo, funzionale, valoriale, ecc.). Anzi, forse essa stessa può attraversare i singoli soggetti nei diversi momenti della loro vita e l’esclusione dall’analisi teorica fino ad oggi è stata sicuramente un’operazione tragica (nel senso prima specificato), di cui la sociologia si è fatta carico .
Servizio Sociale e teorie sociologiche
Prima di introdurre la nostra riflessione è importante parlare brevemente del rapporto che c’è tra sociologia e servizio sociale.
La sociologia apporta al Servizio Sociale uno spettro generale di analisi dei fenomeni sociali: struttura, istituzioni, norme. E’ evidente che questa analisi varierà a seconda della chiave – cioè della teoria sociologica scelta.
La presa di coscienza di questo fatto ci porta a relativizzare le nostre conoscenze, a non considerare le analisi di un processo sociale come una verità scientifica.
Le diverse teorie sociologiche apportano agli assistenti sociali elementi per l’analisi dei processi sociali che permette loro di comprendere le situazioni particolare del “cliente” (condotte, valori, determinismi sociali, ecc.), sia che si tratti di un individuo, di un gruppo o di una collettività.
Questi elementi di comprensione della situazione possono confluire in un orientamento dell’intervento professionale.
Infine le teorie sociologiche permettono di situare il SS nell’insieme delle Scienze Sociali ed esaminare il ruolo e la peculiarità al quale esso è stato chiamato.
Ad esempio ci possiamo chiedere: il Servizio Sociale è un “apparato ideologico dello Stato”, una istituzione che punta a fortificare la “stabilità normativa” del sistema, un “agente di cambiamento”, o cosa? Le teorie sociologiche, pertanto, permettono al Servizio Sociale di decodificare meglio il proprio ruolo e, eventualmente, cercare di trasformarlo.
L’agape come motivazione primaria dell’azione
La proposizione dell’Agape come motivazione primaria dell’azione, in un altro autore che lo ha esplorato, Simmel, è molto stimolante per la ricerca nel SS, giacché egli evidenzia che “l’egoismo e l’altruismo non sono gli estremi del continuum delle motivazioni umane, perché l’agape non è riducibile ad alcuno dei due estremi”. Questo mette le fondamenta per un argomento importante come quello della motivazione per la quale l’assistente sociale attua, atteso che la nostra è una professione dove il fattore predominante dell’azione ha a che fare con l’orientamento ad andare verso le necessità del soggetto richiedente.
L’affermazione di Simmel che l’agire sociale per amore sia indipendente da quell’alternativa, apre un cammino interessante per comprendere i rapporti tra gli attori che si trovano nella scena del lavoro sociale in qualsiasi livello questo si svolga: individuale, di gruppo o a livello di comunità.
Se è vero che l’agire sociale per amore abolisce ogni distanza tra l’io e il tu, come afferma Simmel, allora questo tipo di agire è proprio significativo per la nostra professione per il fatto che è appunto quella distanza tra l’assistente sociale e l’utente deve diminuire al minimo possibile per creare il clima adeguato, nel quale si potranno trovare le giuste alternative per la soluzione ai problemi da affrontare insieme.
Giacchè la peculiarità specifica dell’amore riguarda il fatto che esso “... non elimina l’esser per sè dell’io né quello del tu, anzi, ne fa il presupposto in base al quale si compie l’eliminazione della distanza” , allora si torna non solo al tipo di azione, ma forse al tipo privilegiato di azione che l’assistente sociale dovrebbe cercare di costruire con gli attori sociali, proprio per quell’obiettivo, già citato, di diminuire la “distanza”, fondamentale per l’efficacia dei risultati professionali.
Allora se l’agire per amore fa si che questa distanza tra assistente sociale e il soggetto diminuisca, allora vuol dire che il tipo di agire fondato sull’amore deve sostanziarsi nella nostra professione per studiare possibili conseguenze della sua attuazione.
Robinson riguardo al tema della “distanza” tra assistente sociale e il co-soggetto , afferma che: “i rapporti del lavoro sociale sono rapporti per i quali è essenziale la interazione dinamica tra co-soggetto e assistente sociale. .... le stesse relazioni si convertono in un nuovo ambiente di tipo costruttivo, dentro il quale si offre al co-soggetto una opportunità per trovare la soluzione a lui più conveniente”.
E’ interessante constatare come questo autore metta in luce proprio quello che Simmel, dal punto di vista della teoria sociologica dell’azione, ci offre. Alcuni concetti di questa proposizione di Robinson vengono a confermare che le caratteristiche essenziali dell’azione sociale che l’assistente sociale realizza possono essere:
• Interazione dinamica tra assistente sociale – soggetto;
• Raggiungere un nuovo ambiente di tipo costruttivo;
• Offrire al soggetto un’opportunità per trovare una soluzione al suo problema.
Queste caratteristiche fondamentali dell’azione nel SS, secondo Robinson, si possono compiere adeguatamente cercando di diminuire la “distanza” tra assistente sociale e co-soggetto, e da questo dipenderebbe l’efficacia e l’efficienza dell’azione sociale. Per cui questa diminuzione tra le persone si raggiunge, secondo la teoria di Simmel, mediante “l’agire sociale per amore”, un’azione sociale motivata dall’amore.
Sempre Robinson afferma che nella tappa diagnostica, come nelle altre del processo metodologico dell’intervento professionale “il rapporto sociale costituisce un’interazione di personalità dinamica che agisce e reagisce continuamente,...sia che si riconosca questo processo come amicizia, comunicazione, identificazione, traslazione, rapporto, penetrazione simpatizzante o empatia, tenta sempre di gettare un ponte attraverso il quale tanto l’assistente sociale come l’utente possono far passare le proprie rispettive esperienze emozionali, risultando cosi un “noi diverso”, diminuendo il vuoto che li separa e separa gli uomini, ottenendo un sentimento di fraternitá..”
Questo “noi diverso”, esprime chiaramente il concetto di diminuzione della “distanza” della quale parla Simmel e che Robinson esprime con diversi tipi di atteggiamenti come quello della “penetrazione simpatizzante o empatia” che porterebbe al sentimento di fraternità tra gli attori coinvolti nell’azione.
Questa realtà, che si esplica nell’azione, trasforma e supera le individualità degli attori che vi erano prima di incontrarsi, appunto, nell’azione.
Questo tipologia comportamentale trasforma gli attori in co-gestori di una possibile terzietà nella quale sorgono idee e alternative di soluzione per una “azione trasformatrice” della problematica sociale.
Possiamo ipotizzare che l’azione sociale motivata dall’amore costruisce qualcosa di diverso da quella precedente che non è la somma di due o più pensieri che s’incrociano nel tessuto dei rapporti sociali, ma è una realtà “qualitativamente” diversa.
Un altro aspetto interessante nella teoria sociologica di Simmel, che può trovare implicazioni importanti nel lavoro sociale, è quello sulla società; lui afferma che essa è, allo stesso tempo, un’unità tra l’essere prodotti dalla società e l’esserne membri.
Dalla combinazione di questi elementi prende forma la società empirica. Una considerazione fondamentale della visione di Simmel è che l’essere per sè e l’essere sociale formano un insieme, la persona nella sua totalità, che non può prescindere, per la sua stessa esistenza, da queste appartenenze. La realtà della persona è in maniera intrinseca relazione, e cioè quello che lo fa essere persona è l’essere in rapporto con gli altri, vuol dire che l’essere per sè non può staccarsi dall’essere per gli altri.
Questa affermazione ha delle implicazioni molto importanti per il SS per capire meglio la socialità intrinseca dell’uomo e porta, quindi, a considerare che una dimensione fondamentale per la professione è la piena capacità di socializzazione della persona.
Questa prospettiva può permettere al SS di centrare meglio le sue competenze proprio in quelle funzioni professionali che aiutino a sviluppare questa capacità dell’essere umano, come la solidarietà, la cooperazione, il servizio, il mutuo aiuto, la collaborazione, la cura dell’altro, l’integrazione, la partecipazione, l’autogestione, ecc. Tutte dimensioni che troviamo nella radice della funzione professionale del SS.
In questo senso il SS può maggiormente essere capace di trasformare individui in persone, gruppi di persone in comunità, creando rapporti di reciprocità, cooperazione e collaborazione tra tutti.
Sottolineando che l’uomo, il suo essere persona, trova maggior compimento nel fatto di essere in rapporto con gli altri, si può aprire una prospettiva nuova con la quale costruire meglio l’agire professionale.
Questa prospettiva porta a cercare anche un fondamento per soluzioni efficaci per la problematica sociale che viene trattata: ad esempio costruire legami interpersonali forti (azione sociale motivata dall’amore). 
Nel lavoro sociale dire che siamo persone proprio perché ci doniamo, implica superare fortemente una visione asimmetrica assistente sociale – utente, per arrivare ad una relazione che porti entrambi ad una donazione di talenti, di cultura, di storia, ecc., che si prefiggano un obiettivo comune come quello di cercare insieme la soluzione dei problemi del soggetto, della sua famiglia o della collettività nella quale il problema sorge.
L’Agape come interpenetrazione dei soggetti crea proprietà emergenti del sociale ovvero: la sua istituzionalizzazione sociale
Riguardo alla domanda: cosa accade quando il lavoro sociale è il prodotto dei vari attori che agiscono mettendo l’agape a fondamento delle loro azioni?
Questo è veramente molto stimolante, sia a livello teorico che di prassi del SS.
A questo riguardo il concetto di sistema di interpenetrazione di Luhmann, può essere un valido aiuto, dove lui afferma che “...pur in un contesto di amore come eros, elabora il concetto, particolarmente utile in questa sede, di sistema di interpenetrazione per rilevare il sociale creato da un agire che sia il prodotto di due soggetti che liberamente deliberano di vivere ciascuno per l’altro. L’amore in questo caso è una relazione di mutua penetrazione nella vita di Alter ed Ego, che è alla base dell’agire e dell’esperire. Ciascuno, nel momento in cui si rivolge al mondo dell’altro muta se stesso. Anzi ogni soggetto si trasforma e diviene parte del suo oggetto. Inoltre l’‘oggetto’ non rimane immobile, ma assume l’azione in sè, accettando di trasformarsi a sua volta”. 
Il fatto che l’agire sociale motivato dall’amore porti a una realtá trascendente, nel senso che supera le singole capacitá degli implicati in essa, si spiega anche per il fatto che il sociale creato da una mutua interpenetrazione di due soggetti che liberamente stabiliscono un rapporto d’amore trasforma tutti e due. Cioè le persone dopo questa esperienza di interazione sociale di interpenetrazione sono diverse da quello che “erano” prima dell’interazione.
Una delle tante vie di indagine che apre questa teoria riguarda ad esempio il tema tanto caro alla professione come quello del inserimento o dell’intervento dell’assistente sociale sia nel gruppo o nella comunità. In questo senso la citazione precedente è di aiuto per la ricerca, in quanto, seguendo il sistema di interpenetrazione di Luhmann, (l’azione motivata dall’amore si fa operativa mediante la mutua penetrazione della vita di Alter ed Ego) nel campo della prassi del lavoro sociale possiamo immaginare una messa in pratica di questo tipo di rapporto dove l’assistente sociale si avvicini all’utente “essendo l’Alter”, “vivendo la vita dell’Alter”.
Questo nella professione si cerca di farlo mediante il principio dell’ atteggiamento assente di  giudizio” verso il soggetto, ma questa prospettiva che ci propone la teoria di Luhmann va oltre, aprendo nuove piste per il lavoro sociale.
Infatti senza lo sforzo di vivere la vita dell’Alter, cercando di uscire dai propri schemi mentali per entrare in quelli dell’altro, ogni azione sociale sarà una mera approssimazione senza mai fare l’esperienza di averlo capito veramente (fondamentale per un approccio diagnostico) e quindi non si potrà trovare una efficacia situazione al problema.
Questa mutua compenetrazione è fondamentale per poter raggiungere la meta proposta dal SS in ogni livello di intervento.
La teoria della interpenetrazione ci porta a comprendere subito che senza l’atteggiamento dell’assistente sociale di “fare un vuoto” profondo mettendo da parte (temporalmente) i suoi schemi mentali per accogliere quelli del soggetto non ci può essere un rapporto di tipo agapico.
Questo svuotarsi per riempirsi dell’altro porta alla mutua compenetrazione, ad un comprendersi profondo.
Un altro passaggio importante che si trova nella citata relazione di Colasanto e Iorio al seminario di Social-One e che connota diverse implicazioni per il SS è quello dove si sottolinea che “...amore è un’azione primaria e irriducibile perchè con la sua azione determina il proprio oggetto e lo crea come oggetto particolare che prima del suo amore non esisteva. Ma allo stesso tempo colui che ama è diverso da quello che era precedentemente, cioè prima che cominciasse ad agire per amore. In questo senso si comprende l’unità dell’agire agapico, perché l’amore nel momento in cui lo si vive nei confronti di ogni prossimo ricrea il soggetto e l’oggetto allo stesso tempo”.  Dunque, concludono gli autori, l’agire agapico delle persone produce una realtà sui generis, una unità tra soggetti che nell’azione agapica reciproca, sfocia in un sociale generativo e proprio, dove i soggetti non sono alieni gli uni agli altri, non sospendono l’autoriflessività, non tralasciano di impiegare le proprie facoltà per vivere l’altro, ma ne sono il presupposto.
Questo nel SS è fondamentale, cioè sapere che attraverso l’atteggiamento professionale motivato d’una azione d’amore agapico si può trasformare il soggetto, proprio per il fatto che gran parte delle funzioni della società è poter trasformare positivamente i comportamenti dei soggetti.
Questo introduce la teoria sociologica della mutua trasformazione, che avviene nell’atto  stesso in cui il rapporto agapico si sta realizzando e ci propone una chiave di lettura interessante per tutto l’intervento professionale del SS.
Essendo consapevole di questo, il Servizio Sociale professionale potrà operare un intervento sia a livello personale che a livello comunitario, che tenga conto di questa trasformazione che avviene mediante l’agire agapico.
Ad esempio riguardo l’atteggiamento che si diceva prima, cioè di trasferirsi nell’Alter (soggetto) mettendo da parte quello che siamo, è necessario far si che questo agire agapico passi mediante un concreto ”atteggiamento di svuotamento”, da quegli schemi che ci impediscono di entrare nell’altro: idee, opinioni, possibili soluzioni che vengono in mente durante le fasi professionali del processo d’aiuto e della presa in carico.
Allora se questa trasformazione avviene veramente tra i due partner, dovrebbe succedere che dopo questo “agire agapico” dell’assistente sociale di fronte al co-soggetto, si dovrebbe avere una trasformazione di ambedue  e non solo del cosiddetto utente.
La trasformazione a livello professionale che si dovrebbe aspettare grazie a questo modello teorico-pratico  è:
• Una trasformazione della condotta del soggetto (livello individuale);
• Una trasformazione dei membri del gruppo (livello di gruppo);
• Una trasformazione della comprensione delle proprie problematiche sociali, della famiglia, dei membri dell’intera comunità che renda possibile un processo di mutamento della propria realtá con la partecipazione del maggior numero di persone possibile (livello comunitario).
Se consideriamo come presupposto teorico questa citata ed esplicitata trasformazione reciproca, allora possiamo dire che ci troviamo dinanzi ad un possibile cammino verso nuove formulazioni di ipotesi che ci potranno indirizzare (confermate dall’azione empirica), ad una possibile nuova teoria della trasformazione sociale.
La prassi del lavoro sociale con individui e gruppi ci offre in questo senso un campo interessante con un preciso lavoro di “sistematizzazione” della pratica professionale, se esso avviene in un clima di mutua empatia.
Ad esempio se nei colloqui e nelle interviste professionali, l’assistente sociale sa stabilire questo clima con il soggetto, fondato sull’ empatia o meglio sull’agire agapico, quando si tratta di elaborare le varie conclusioni ai problemi manifestati, vengono fuori realtá prima non previste, proprio per la dinamica relazione che, mutualmente, nasce. 
Questo può voler dire che l’agire agapico può apportare al SS un nuovo rapporto tra metodologia, teoria e pratica, per il fatto che “...l’agire agapico ponendosi al crocevia tra intimità, essere membri e prodotti della società, costituisce la struttura e l’agency sociale e, dunque, una propria realtà sociale sui generis”.
Il SS, come disciplina, ha sue precipue peculiarità che forse non sono esplorabili in altre e questo ha a che fare con il suo oggetto di ricerca ed intervento e anche con la sua funzione sociale.
Gissi afferma al riguardo che “il lavoro sociale ha una peculiarità disciplinare, che è il suo oggetto materiale, cioè il sociale (la società in qualsiasi e tutte le sue manifestazioni ) e un oggetto formale che è la trasformazione a livello individuale, micro o macro, di alcuni problemi sociali, puntando ad un obiettivo generale di benessere di ognuno e di tutti i membri della società in rapporto con lo sviluppo sociale in tutti i suoi aspetti” .
Questo vuol dire che dal punto di vista disciplinare la peculiarità del SS è precisamente il suo oggetto formale (come in ogni altra scienza sociale), cioè la trasformazione a diversi livelli e diverse aree del sociale.
Dopo questa riflessione, certamente non esaustiva, ma che ha la presunzione di essere provocatoria per un necessario dibattito all’interno del Servizio Sociale, ci possiamo domandare con Quiroz :
• A che livello il SS trasforma il sociale?
• Che impatto hanno gli interventi che realizziamo nella società?
• Quale è l’apporto specifico del SS quando si tratta di contribuire a dare soluzioni alle problematiche sociali?
Come abbiamo cercato di esplicitare, con tutti i limiti di un inizio di dibattito e di ricerca, l’agire agapico si presenta come una interessante via per contribuire a dare una certa risposta a queste domande fondamentali della nostra professione, nella complessità della società attuale.

* Laureato in Servizio Sociale, specialista in politiche sociali. Attualmente consulente del Ministero dello Sviluppo Sociale della Repubblica Argentina nell’Area Sviluppo e Ricerca.
Otto proposizioni sull’Homo Agapicus. Un progetto di ricerca per le scienze sociali. Relazione di Michele Colasanto e Gennaro Iorio al seminario “Agire agapico e scienze sociali, Castelgandolfo (Rm) giugno 2008
Simmel G., 1989, Sociologia, Edizione Comunità, Milano
Con il termine co-soggetto intendiamo sia la singola persona, il gruppo o i gruppi di una intera comunità nella quale il assistente sociale svolge il compito professionale.
Robinson, “Cambios sociológicos en el Trabajo Social de Casos, pag. 150. Virginia Robinson (1883-1997) é stata membro del corpo docente della Scuola di Servizio Sociale dell’Università della Pennsylvania per molti anni; inoltre è stata una delle prime a interessarsi e a studiare le problematiche legate al tema dell’adozione e dell’affidamento. Nel 1930 ha pubblicato “A changing psychology of social casework”. E stata una delle fondatrice della scuola funzionalista del Servizio Sociale.

Ibid., pag. 136.
Luhmann, 1987, p.234. citato nella relazione di Michele Colasanto e Gennaro Iorio

Simmel, 2001, pp. 169-170.
Michele Colasanto e Gennaro Iorio, “Otto proposizioni sull’Homo Agapicus. Un progetto di ricerca per le scienze sociali”.
  Gissi, J.B., “Trabajo Social y Ciencias Sociales”, Revista de Trabajo Social, PUC de Chile, número 18, 1976, Chile.
Quiroz, E. “Conflicto e intervención social” pag 131, Ed. Espacio, 2003, Buenos Aires. Teresa Quiroz, Sociologa e Assistente Sociale. Direttrice del Master in Politiche Pubbliche e Gestione Locale all’Università ARCIS del Cile. Ha ricevuto il Premio Elena Caffarena 2006 per il suo lavoro legato al processo chiamato di “reconceptualización” del Servizio Sociale in Chile e America Latina e al Servizio Sociale critico. I suoi contributi sono stati anche molto importanti nell’ambito della sistematizzazione e la costruzione socio critica della conoscenza, dei problemi della democrazia in America Latina e le politiche sociali nel contesto dei processi di costruzione della democrazia in Cile. E’ studiosa attenta per la promozione della donna e lo sviluppo di studi di genere insieme ai suoi apporti alla riflessione dei processi di

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