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"Rompere con la dipendenza".(intervista a cura di Martin Nkafu)

_23-Festa-Bangwa2Lucio Dal Soglio

Martin Nkafu Nkemnkia: Per vari anni la convivenza è stata solo tra i Bangwa e i focolarini ma poi la cittadella ha richiamato sempre più anche molti altri africani. Come è avvenuto questo?

Lucio Dal Soglio: La convivenza con i Bangwa si è allargata sulla base dell'unità e della fraternità. Ma anche lì si è creata subito una difficoltà, per dire che non va tutto liscio quando si entra nel concreto. Infatti, nel 1972, venne una commissione Bangwa, a parlare a Marilen Holzhauser e a me, che a quell'epoca, eravamo i due corresponsabili del Movimento dei Focolari presente sul posto. I Bangwa dicevano: "Vogliamo parlarvi". "Bene, parliamo" abbiamo risposto. E loro "Voi adesso siete qui da sei anni, ma noi non abbiamo ancora capito cosa siete venuti a fare, che cosa volete qui". "Come? - ci siamo detti - dopo sei anni?". Avevamo già cominciato la costruzione della chiesa che era stata voluta da loro, avevamo già costruito l'ospedale, il collegio. Però non avevano ancora capito cosa eravamo venuti a fare!

Abbiamo allora pensato di fare una Mariapoli [Convegno di più giorni per la formazione alla spiritualità del Movimento], invitando tutti i Bangwa che lo desideravano e poter così spiegare che cosa ci spingeva a vivere assieme a loro e che cosa ci aspettavamo che loro facessero. Abbiamo fatto la Mariapoli e l'abbiamo ripetuta nel 1973 e nel 1974 con alcuni venuti da più lontano, più numerosi. Allora, i Bangwa, dopo che la Mariapoli era finita hanno detto: "Ah no, così non va bene!".

"Perché non va bene? ". "Perché voi lo fate per loro, per tutta questa gente che viene". E noi: "Lo facciamo per tutti". E Loro: "No, vi servite di noi che testimoniamo che è una cosa buona per convincere loro a fare qualcosa per voi". E questo ci ha lasciato di stucco!

Questo fa capire che non c'è niente di ovvio in un incontro di culture. Vi sono almeno dieci cose da risolvere ogni giorno fino in fondo. Abbiamo smesso di fare la Mariapoli. E abbiamo detto loro: "Noi non facciamo più la Mariapoli. Viviamo per voi".

E ci siamo messi a sistemare le strade già esistenti, a farne di nuove per accedere ai loro campi,  per poter portare il caffè a Dschang, al mercato, ecc. Abbiamo fatto spianate sulle colline, perché, come sa chi è stato a Fontem, il territorio è tutto collinoso e le colline sono ripide. Occorreva dunque fare spianate per costruire case più adatte, più spaziose, più igieniche. Insomma, ci siamo messi a lavorare per i Bangwa,  tutto il resto non ci interessava più.

Però, bisogna essere animati da uno spirito di adattamento e di accettazione della diversità... Non si può dire: "Si fa così perché va bene così!". Può essere  giusto e non giusto, può essere bene o non bene, non si sa. Bisogna vedere con l'altro che è diverso da te. Così abbiamo imparato a conoscere la diversità, e ad amare la diversità.

Malgrado questo, eravamo sempre noi ad avere, come si dice, "il coltello dalla parte del manico", perché noi avevamo i mezzi. Nel frattempo abbiamo avuto a disposizione un Caterpillar che Piero Pasolini, un altro focolarino, aveva fatto arrivare dall'Italia. Avevamo il Land Rover per spostarci, avevamo il camion per trasportare il materiale, avevamo i soldi, il knowledge dei mestieri, sapevamo come riparare le macchine. I Bangwa non avevano niente di tutto ciò, non sapevano riparare le macchine perché non avevano le macchine. Noi insegnavamo al college, noi dicevamo cosa imparare, come studiare, ecc.

Questa cosa ad un certo momento ha costituito una dipendenza e i Bangwa hanno sentito che dipendevano da noi. Non che ci fosse niente di male, tutto era fatto per il bene, però era una situazione di dipendenza tanto da portarli a dire: "Voi siete così indispensabili a noi? Allora andatevene via".

E quindi noi ci siamo trovati ancora un'altra sorpresa. Una dietro l'altra. E ci siamo interrogati sul da farsi. L'alternativa era tra andare via oppure cambiare. Ma non cambiare i Bangwa, dovevamo cambiare noi. E tutti insieme, noi focolarini, uomini, donne, sacerdoti, ci siamo messi d'accordo: "Ci convertiamo, restiamo, ma in condizioni di parità. Stiamo qui per vivere assieme con i Bangwa, non per fare cose grandiose, neanche per salvare le vite dei Bangwa, le salviamo se i Bangwa ce lo chiedono. Non vogliamo fare un super ospedale, non vogliamo fare un'università, non vogliamo insegnare questo o quel programma, facciamo quello che vediamo insieme a loro di fare".

E così abbiamo ricominciato a fare, e questa è stata la vera grazia che abbiamo ricevuto, capire che bisogna essere pari, che la vera fratellanza universale comincia lì, non è più importante quello che dico io rispetto a quello che dici tu. Non è più importante, o più santo, o più bello, non importa quello che è: bisogna capire insieme, ragionevolmente, quello che c'è da fare. Questa è la base dell'uguaglianza e della fraternità. E questo è stato.

Messaggio

Chiara Lubich

L'amore fraterno stabilisce ovunque rapporti sociali positivi, atti a rendere il consorzio umano più solidale, più giusto, più felice...

-Chiara Lubich

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